Il faro di Fastnet si trova a sei chilometri e mezzo dalla costa nel West Cork, ed è soprannominato “La Lacrima d’Irlanda” perché era l’ultimo lembo di terra che gli emigrati vedevano prima di salutare la loro amata, verde terra.
Perché lasciare casa è come morire e rinascere. Un’altra vita. Lontani.
“L’unico difetto dell’Irlanda è che ad un certo punto, finisce” scrisse una volta un poeta sul tavolo di un pub, tra le pinte nere di Guinness irriverente.
Lasciare l’Irlanda per un irlandese è un po’ come salpare via lontano, per poi girarsi dopo un lungo pellegrinare e sussurrare al vento “Sai Mamma, sono mesi che non ti abbraccio”.
E gli emigrati dalla fluente chioma rossa hanno invaso le terre vicine in cerca di fortuna, cercando di non scordare mai da dove essi venivano veramente.
Particolarmente in Scozia, alla fine del 1800, ci fu una vera e propria invasione di irish men, tanto che, molte, moltissime squadre scozzesi, sono state fondate da quei ribelli provenienti al di là di quel tratto di Oceano Atlantico che si chiama, senza tanta fantasia, Canale del Nord.
Ecco allora che l’Hibernian prende il nome dall’antica parola latina che serviva ai romani per chiamare quella terra magnifica, Hibernia, appunto.
Ma anche il Celtic all’albore della sua storia si chiamava Celtic Hibernian, e non Glasgow, proprio perché fondata dai vicini bombaroli che adesso magari sono avvolti nelle loro belle, calde sciarpe Aquascutum. Come l’attuale Dundee United, che prima era il Dundee Hibernian.
Il tutto a sottolineare il forte legame che unisce due paesi meravigliosi come Scozia ed Irlanda. Senza però mai scordare da dove si proviene. Mai. Impossibile. E se mai qualcuno dovesse farlo, dovesse scordarselo, dal 1899, c’è sempre il faro di Fastnet ad illuminare la buia, gelida notte irlandese, mentre un ragazzo piange lacrime che andranno inevitabilmente ad ingrossare un po’ quel mare che lo dividerà per sempre da casa sua e da quel vento che accarezza pinte scure e quadrifogli nascosti chissà dove..

C’è un inglese a casa mia. E questo non è mai piacevole. Ma ormai è così, e lo è dal lontano 1906, anno in cui il Berwick Rangers FC, squadra inglese a 2,5 km dal confine scozzese, decise di giocare nella terza serie della terra che fu di William Wallace, anziché in quella della madre patria, vista la sua vicinanza più ad Edimburgo che a Newcastle, la prima vera grande città inglese più vicina alla piccola, graziosa Berwick.
E si sa, quando un inglese mette i piedi in Scozia, e viceversa, la cosa non è certa vista di buon occhio.
È così che, ogni partita in terra scozzese è pressoché una guerra a cielo aperto per il piccolo Berwick. I tanto patriottici amanti del kilt, cercarono sin dagli albori ed in tutti i modi possibili di ostacolare il cammino della squadra a strisce nere ed oro dimenticati dalla terra di Albione.
Fu però nel 1964 che le cose iniziarono davvero a precipitare. Quando gli Unni di Glesga, i Rangers, quelli che si credono intoccabili agli occhi di Dio, almeno il loro, quello protestante, cercano di ribaltare le decisioni della Lega Scozzese e buttare fuori i “Boarderers” dalla loro patria. L’intervento però del Celtic, contrario a quella decisione, un po’ per questione etiche, un po’ perché si sa, quando c’è da andare contro i Rangers, quelli del Celtic ci saranno sempre, fece si che alla fine i Bewees riuscirono a mantenere il diritto di giocare al di là del confine.
E come se non bastasse, il destino, due anni dopo, aveva in serbo uno scherzo a dir poco diabolico.
28 gennaio 1967. Primo turno di Coppa di Lega. Davanti ad un Shielfield Park gremito, 13.400 persone, la matricola Berwick, che galleggia e galleggerà quasi per tutta la sua storia nei bassi fondi del semiprofessionismo, ospita i Rangers.
La tensione è alle stelle e lo è da almeno un mese prima, quando in città non si è parlato praticamente di altro fino a quel pomeriggio.
Sulle tribune sventolavano bandiera inglese come se piovesse. Decise un gol al 32’ di Sammy Reid che fece impazzire una città intera e che entrò nella storia, perché nessuno, e ripeto nessuno, prima di allora aveva mai cacciato i Gers fuori da una competizione nazionale al primo turno. Ancora oggi i nonni raccontano ai nipoti di quel pomeriggio, i padri sfoggiano con orgoglio foto ormai sbiadite, a ricordare il giorno in cui dei bastardi sgraditi ospiti inglesi in esilio, mandarono all’inferno coloro che da sempre, almeno al di là del confine, si credono in Paradiso..